Dalla Biopolitica al totalitarismo: quanto è corretto vedere il “non-vaccinato” come un reietto?

Dalla Biopolitica al totalitarismo

Quanto è grave cedere la nostra indipendenza sanitaria?

L’analisi di un antropologo vaccinato e contrario al green pass

Ed eccoci nuovamente a parlare, forse per la miliardesima volta, di un problema che ben prima della pandemia era capace di infiammare gli animi di folle esagitate. La vera domanda qui non è “vaccino sì” o “vaccino no”. Lo scontro non è tra qualche esaltato “no-vax” che non sa nemmeno per cosa protesta e si lascia prendere da un fervore estremista che auspica all’annientamento stesso della farmacopea, e tra una controparte, forse ancora più demenziale, che crede religiosamente nella santità di qualsiasi farmaco (vaccino, in questo caso), al punto da giudicare come eresia qualsiasi dubbio sulla sua efficacia.

Uno “scontro di civiltà”

Insomma, il vero problema non è quello che traccia il confine tra vaccinisti ed antivaccinisti, il che sarebbe uno scontro tra incivili ed esaltati di cui noi non vogliamo far parte. Lo scontro di “civiltà” è, piuttosto, quello tra la visione totalitaria di chi vorrebbe imporre un trattamento sanitario, giustificandolo con l’ideologia tecnoscientifica che guarda solo all’efficienza e alla produttività senza considerare le infinite variabili soggettive, e tra una visione invece, ormai morente, di chi ancora crede nei valori della libertà personale, e dunque non si oppone “al” vaccino, ma alla sua somministrazione obbligatoria, la quale è comunque analoga ad una condizione in cui, sebbene non sia previsto l’intervento della legge ad imporre questo trattamento sanitario, il non-vaccinato sia ugualmente ghettizzato dalla società e percepito culturalmente come inferiore o addirittura pericoloso.
Qui sta lo scontro di civiltà, la grande frattura socio-culturale che stiamo attraversando.

Quanto è moralmente e logicamente corretto vedere il “non-vaccinato” come un reietto?

La scienza non è oggettiva

Parliamo di dati e di fatti. Non sono un medico quindi non ho le competenze per polemizzare sull’efficacia della vaccinazione. Laddove ti manca la competenza per criticare è ovvio che devi affidarti a chi ha studiato. La medicina riconosce l’efficacia della vaccinazione. Benissimo, questo è lo strumento, questa è la sua efficacia. Non è nemmeno qui che iniziano i problemi. Vi sono infatti delle informazioni e degli elementi che anche i non-medici, poveri profani ignoranti, possono comprendere ed analizzare. In questo, il povero profano ignorante che scrive, si serve dei propri modesti mezzi di scienziato sociale (leggasi: antropologo) per affermare alcune cose.
Sebbene oggi, con il clima di follia che si respira, in molti si rifiutino ideologicamente anche solo di leggere uno dei più grandi maestri della storia quale fu Michel Foucault, l’insegnamento che ci ha lasciato è quantomai attuale ed indispensabile per capire il nostro presente. Una su tutte le grandi lezioni che ci ha donato: «il potere produce sapere (e non semplicemente favorendolo perché lo serve, o applicandolo perché è utile)», e ancora: «potere e sapere si implicano direttamente l’un l’altro» in quanto «non esiste relazione di potere senza correlativa costituzione di un campo di sapere, né di sapere che non supponga e non costituisca nello stesso tempo relazioni di potere» (Foucault, “Sorvegliare e Punire” Einaudi, 2014, p. 31).
Ecco cosa dobbiamo apprendere: non esiste una verità assoluta, ma un sapere al quale si giunge dopo una certa analisi e che sarà sempre inevitabilmente conforme al sistema che lo ha prodotto. Questo sistema può essere in buona fede (e allora in quel caso l’unico eventuale problema sarà la limitatezza dei suoi mezzi), oppure può essere in mala fede, e dunque, oltre ai mezzi, bisogna questionare circa i suoi obiettivi.
Oggi si vive nella fede assoluta verso una qualche verità oggettiva, dimenticandosi che essa è una convenzione stabilita da un consorzio maggioritario di scienziati. Se questo è vero per le cosiddette scienze dure, dove i dotti ammettono e sanno bene che la verità oggettiva è al tempo stesso una verità convenzionalmente istituita, lo è ancor più per le arti come la medicina, che hanno a che fare con una quantità di variabili (quali sono i soggetti-pazienti) enorme, a dir poco imprevedibile.
Come al solito a me non importa parlare di medicina, in quanto la pratica delle azioni va sempre lasciata agli esperti. Ciò che mi interessa è innanzitutto ribadire questa verità di cui troppo spesso siamo dimentichi, e cioè che la medicina non è infallibile. Eppure dobbiamo affidarci ad essa, e certamente lo facciamo, perché in più casi ci ha salvati. Ma guai a fraintendere la fiducia con la fede, e peggio ancora guai a passare dalla fede alla fedeltà acritica verso un sistema che si compra fedeli e sudditi con la paura.

 
Io ho fatto il vaccino. Ho scelto di farlo, si potrebbe dire, ma non è del tutto corretto, dal momento comunque che le variabili in gioco non implicavano esclusivamente di riflettere sulla mia salute o su quella degli altri, ma anche su un provvedimento quantomai autoritario che mi ha caldamente invitato a ridurre i tempi di riflessione e prendere una decisione più rapida. Alla fine l’ho fatto perché nonostante tutto mi fido della medicina. Non quanto vorrei, lo ammetto. Vorrei fidarmi molto, molto di più, ed ogni giorno questa società sembra fare di tutto per farmi perdere progressivamente e lentamente ogni grammo di fiducia. Non posso dire se mi sono pentito della mia scelta. Non ho avuto effetti collaterali. Per ora. E ciò comunque non cancellerebbe la scomoda verità: una minoranza, risicata ed esigua quanto vi pare, gli effetti collaterali ce li ha. Eppure di fronte a questo si continua a fare un discorso quantomai singolare: “qualche sacrificio è necessario”. Non si nega infatti il rischio, ma lo si minimizza, portandoci a ritenere che sia comunque giusto sacrificare una minoranza per una maggioranza. Il dibattito sui danni da vaccino rasenta la demenza pura, e forse la gente che si fionda all’interno di questa tematica per dire la sua a tutti i costi non presta sufficiente attenzione. Anche qui infatti si perde il punto della questione. Il problema non è stabilire se esistano i danneggiati da vaccino. Tutti gli enti di controllo, le case farmaceutiche e gli stessi stati hanno sempre riconosciuto la possibilità di effetti collaterali, e laddove difficoltosamente ammessi anche risarcito le vittime. Il problema non è dunque stabilire “se”, perché tutti gli enti seri riconoscono la possibilità che il vaccino, come del resto qualunque altro farmaco, possa presentare reazioni avverse anche gravi. La gente non presta la dovuta attenzione alle conseguenze di questa affermazione. La versione ufficiale degli enti governativi e delle case farmaceutiche infatti non è che i vaccini siano sicuri, ma che i loro danni (riconosciuti) siano statisticamente irrisori nelle loro occorrenze. In altre parole, per la versione ufficiale non è che i vaccini siano totalmente sicuri ma che i loro eventuali danni siano un sacrificio necessario. Bisogna prestare molta attenzione a questo aspetto perché è qui che dovrebbe essere condotta la vera battaglia di civiltà. Di fronte a questi dati, l’unica azione moralmente corretta sarebbe quella di affermare che la libertà di scegliere se sottoporsi ad una cura del genere spetta solo ed esclusivamente al singolo. Può aprirsi un dibattito sugli effetti positivi o negativi che questa scelta avrà sui singoli e sulla comunità, ma la scelta finale resta libera e privata. Eppure oggi si è adottato un metodo che invece marchia tutti: sia i vaccinati che i non vaccinati gireranno per le strade sapendo di essere riconoscibili, e questo perché lo Stato ha deciso che riserverà un trattamento diverso per ciascuna di queste “categorie”.

Il Green Pass è una misura autoritaria

Non sono i singoli a decidere, è lo Stato a farlo per loro. La scelta del Green Pass è inquietante, e lo dico da vaccinato, cosicché non mi si possa rompere le scatole in alcun modo. Io ce l’ho il fantomatico “Green Pass”, eppure continuo a pensare che si tratti di una misura autoritaria. Abbiamo anche aggredito due dei più grandi filosofi italiani (Cacciari e Agamben, quest’ultimo noto a livello mondiale) perché si sono permessi di esprimere le loro preoccupazioni dinnanzi ad una misura che crea de facto una discriminazione sociale ed introduce una distinzione drastica tra cittadini “liberi” di muoversi nei luoghi pubblici (ma che in cambio di questa libertà cedono sostanzialmente tutta la loro privacy sul loro stato di salute) e cittadini reietti, neanche di serie B, direttamente di serie Z. Noi non ci rendiamo conto, a causa dell’assuefazione alla quale siamo sottoposti da ben prima che la pandemia scoppiasse, di quanto la tracciabilità e la cessione totale della nostra indipendenza sanitaria sia grave per la modernità. Può sembrare ridicolo, perché ci si scaglia continuamente e senza pietà contro i cosiddetti “no-vax” (grande calderone in cui si getta dentro un po’ chiunque), ma questa guerra civile non è affatto disprezzata dalla politica. Non serve muovere un esercito, perché i cittadini si controllano a vicenda. Una volta istituita la cultura del sospetto e dell’odio verso il prossimo, si otterrà una popolazione spaventata, divisa, in costante crisi e lotte intestine devastanti, e tutto ciò a cui si punterà, per esasperazione, sarà un capo forte, una figura mistica nella quale riversare tutto l’odio accumulato, affinché lo canalizzi nel potenziale maggior disastro della storia dell’Occidente. Il totalitarismo non assumerà più le forme chiare ed evidenti del passato, ma ci dirà bene se sarà altrettanto brutale, perché quanto è prevedibile dalle tendenze attuali, con il grado di tensione interna che stiamo vivendo, possiamo solo temere molto, molto peggio. E ancor più di chi le misure restrittive le ha approvate, temo chi il consenso se lo sta costruendo proprio sulla rabbia del dissenso, temo proprio quei venditori di fumo che difendono (apparentemente) chi protesta contro l’obbligatorietà, per comprarsi un consenso trasversale che sarà usato, potete giurarci, per scopi ancor più infimi.
La mia è forse una tragica previsione, e scrivo queste parole sperando di sbagliarmi, ma so che un indicatore di gravità sarà certamente dato da un fattore: l’ammissione di dipendenza da questo sistema. Se il Green Pass, o qualsiasi forma da esso derivata, dovesse venire totalmente dismesso nel giro di pochi mesi, allora potremmo gioire per lo scampato pericolo. Ma difficilmente sarà così. I governi già ci dicono che un richiamo non basterà. Verrà il prossimo, e poi quello dopo ancora. Si passerà da uno Stato di diritto ad uno Stato d’assedio, dove il terrore per le varianti e le nuove epidemie sarà promosso con tanta foga da giustificare l’attuazione di misure permanenti di sospensione delle libertà personali, le quali potranno essere recuperate parzialmente solo a seguito dell’adozione di un certificato, il quale però avrà scadenza. E così uno o due vaccinazioni all’anno dovranno essere somministrate per continuare a poter godere dei diritti più basilari. Vi sembra troppo? Per ora. Quando saremo letteralmente esasperati da questa condizione di assedio accetteremo di tutto, e a quel punto ogni ragionevole dibattito sugli effetti collaterali di un abuso prolungato nel tempo (se non addirittura periodico) da farmaci, specie di un tipo per il quale ancora non si conoscono le possibili controindicazioni, sarà un argomento tabù. Non vorrai mica essere accusato di non avere a cuore la sanità pubblica? Ma sul fatto che questo metodo sia l’unico o il migliore per garantire la sicurezza di tutti sarà proibito discutere.

Federico Divino
Antropologo

La libertà di star male : riflessioni di un antropologo

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Autore dell'articolo: GG

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