Non esiste più la moderazione : il farmaco è panacea o veleno mortale.

Il farmaco miracoloso

La via mediana della moderazione e dell’informazione sembra essere stata totalmente annichilita dall’attuale dibattito sul covid.

Non nego l’esistenza del covid-19, anche perché l’ho vissuto in prima persona. Sono stato positivo, mi sono fatto la mia quarantena, ritenendola sacrosanta e giusta, specie come misura di contenimento di una malattia nuova nel panorama medico. Non posso speculare di nulla che sia virologico, in quanto sarebbe un atto di arrogante supponenza. La malattia è nuova, ancora va conosciuta a dovere, e dunque certe misure le ho ritenute giuste, fidandomi non solo di chi mi diceva di applicarle, ma anche di ciò che avevo sempre studiato nella storia della clinica e del pensiero medico. Ciò detto, e passando a parlare di quanto invece compete di più un antropologo nel settore della salute, mi sento di negare qualcosa, e questa è la buona fede di chi gestisce la pandemia.
Non so da dove derivi questo mio innato senso di diffidenza nei confronti di qualsivoglia governo, e anche fatte le dovute distinzioni nelle varie sfumature della democrazia, permane in me un profondo terrore, una certezza che ogni forma di potere non sia in alcun modo interessata a tutelare realmente la salute e la libertà di coloro che sostengono la forma-governo, ma che questi siano meri contentini di facciata dietro ai quali si nasconde sempre una volontà totalitaria. Certamente non si passerà alla dittatura per via del coronavirus (anche se ci sono stati dei paesi, meno “democratici”, che hanno eccome approfittato della pandemia per rafforzare la loro forma totalitaria di regime, e questo non dovrebbe stupirci), ma appena è stato dichiarato lo stato d’emergenza mi sono sentito in dovere di ricordare che cosa sia effettivamente uno stato d’eccezione (Ausnahmezustand).
Agamben ci ha insistito forse con anche troppa veemenza, ma comprendo le sue paure.

Biopolitica del Covid-19 : Antropologia di uno stato d’eccezione

Dichiarare uno stato d’eccezione ha sempre delle conseguenze sul piano della percezione sociale.

Sospendere la norma è qualcosa che va fatto se necessario, ma non va mai preso con leggerezza, proprio perché è uno stato d’eccezione, e come ci insegna Agamben, non si torna mai allo stato precedente a quello dell’eccezione. Il ritorno alla “normalità” non è mai possibile nella forma piena, e questo perché intervengono mutamenti sociali durante la condizione eccezionale stessa. La mia volontà di sottolineare la “pericolosità” di questa condizione dunque, non era rivolta verso un remoto passaggio al totalitarismo. Non ho visto l’abolizione delle elezioni, della stampa o delle leggi sulla libertà di pensiero, ma ho visto gente totalmente impreparata ad accogliere, nella sua quotidianità, una condizione in cui tutto veniva sospeso. I mutamenti interiori che li attendevano non erano stati previsti, e questo trauma, secondo il mio modestissimo parere, non sarà e non è (essendo lo stato d’emergenza ancora in corso) qualcosa di positivo. Conduce ad una sempre maggiore assuefazione all’ipse dixit, tanto delle autorità ufficiali quanto dei santoni di turno, una radicalizzazione delle parti sfociata in una lotta ideologica dai toni religiosi in cui nessuno dei due può avere ragione, perché entrambe le parti rivendicano posizioni estremiste e deliranti che insultano la logica del buon senso, tanto dunque i negazionisti con la loro volontà di opporsi a priori ad una malattia che fa paura, quanto gli affiliati alla parrocchia del “ci vogliono bene a priori”, e che credono che tutti siano in buona fede e veramente facciano di tutto per salvarci.
Sarebbe un mondo meraviglioso che purtroppo non esiste.

Credere a tutti è devastante nei danni che provoca e folle quanto non credere a nessuno.

 

Certamente chi vive e chi ha vissuto la pandemia in prima linea è sempre in buona fede, chi ha scelto la medicina come vocazione è in buona fede, ma quando interviene uno stato d’emergenza è impensabile anche solo credere lontanamente che altri interessi non intervengano per trarne vantaggi personali. Dobbiamo smetterla di pensare che chi guadagna sulla salute si interessi di salute perché mosso da un genuino spirito altruistico, così come non possiamo pensare seriamente che chi ha nel potere il proprio interesse lo eserciti sempre per il bene del prossimo. Non potrebbe esserci ragionamento più idiotico di quello che crede a priori ad un dogma.
Temevo la corsa al vaccino perché temevo l’appiattimento delle opinioni e la radicalizzazione ideologica: da un lato il matra del “è tutto un complotto”, ma dall’altro l’adesione fideistica al “lo fanno solo per noi”, che coincide con la credenza, già generalizzata verso qualsivoglia farmaco, che il vaccino sia acqua di Lourdes, e che nulla nella sua produzione o diffusione, specie fatta così di fretta visto lo stato d’emergenza, possa presentare l’eventualità di qualche problema (come ogni farmaco di fatto ha, ed è parte del rischio dell’affidarsi alla farmacologia quello di mettere in conto eventuali reazioni avverse). Ma no, bisogna dire a priori o che il farmaco sarà un veleno mortale o prodotto esclusivamente per il controllo delle masse, oppure che esso sarà la panacea e la salvezza contro l’epidemia. Non si riesce a vedere l’assurdità di entrambe le ipotesi, e si preferisce aderire religiosamente all’una o all’altra, devi pur credere a qualcosa, dunque o l’una o l’altra, perché non sembra esserci altro nel panorama ideologico attuale, condannando dunque coloro che hanno sempre invitato alla ragionevole calma, come Galli e Crisanti, dei quali non si può certo dire che siano dei no-vax, eppure il loro invito alla calma è stato naturalmente estremizzato e frainteso da entrambe le parti.

 
Eppure, già anni prima della pandemia, quando si faceva notare che i vaccini andrebbero perfezionati e adattati alla persona, onde evitare l’eventualità di effetti collaterali, il dibattito si radicalizzava in forme assurde, per le quali o si negava a priori l’esistenza di effetti collaterali (glorificare la santità del farmaco), oppure si estremizzavano, diffondendo il panico. Nel primo caso lo si faceva per un motivo ben preciso: soldi. Checché ne dicano fanatici, per adesso non conviene affatto investire su farmaci personalizzati, specie quelli come i vaccini, la cui produzione deve essere di massa. Dall’altro lato, coloro che hanno vissuto in prima persona, o sui loro figli, gli effetti collaterali di questo come di qualunque farmaco, sono colti da un profondo senso di diffidenza, e giustamente hanno chiesto agli esperti una chiarezza che non è mai arrivata. Dal canto mio sarei contento di vaccinarmi in sicurezza, fare delle analisi prevaccinali per verificare eventuali allergie a qualsiasi componente del farmaco, senza che ciò pregiudichi la mia volontà terapeutica. Ma proprio perché io non voglio precludermi né la salute né la libertà di decidere della mia salute, non credo né che un farmaco sia acqua miracolosa, né che non debba mai affidarmi ad alcuna cura per l’eventualità degli effetti collaterali. Eppure, la via mediana della moderazione e dell’informazione sembra essere stata totalmente annichilita dall’attuale dibattito sul covid.
Tutti i medici che conosco mi hanno sempre detto che dal primo giorno del loro corso in farmacologia si insegna che ogni farmaco ha effetti collaterali, e che la reazione ai medesimi è soggettiva. Il farmaco ha delle componenti, e queste possono essere tollerate in modo diverso da organismi diversi. La volontà di appiattimento oggettivistico che vuole semplificare per logiche tecniche la complessità dell’organismo umano, ha conseguenze devastanti e produce quei negazionismi di cui poi lo stesso apparato tecnico si lamenta. Non si può ragionevolmente dire che bisogna imporre una terapia protocollare e valida per tutti: è questo che produce la ragionevole paura che sfocia nell’irragionevole estremismo negazionista. Ma non posso prendermela con chi fa ciò che fa per paura.

 
Posso invece prendermela con chi fa ciò che fa in malafede, perché pur sapendo che sarebbe più opportuno personalizzare ogni terapia, preferisce sacrificare il buon senso sull’altare dell’efficientismo tecnico, raccontandosi che in fondo qualche sacrificio umano è fisiologico, pur di tutelare l’apparato. L’importante è sempre tutelare l’apparato.

Federico Divino
Antropologo della salute

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Autore dell'articolo: GG

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