Strapotere e medicalizzazione senza libertà personali

Strapotere e medicalizzazione senza libertà personali

«Una norma, che affermi che si deve rinunciare al bene per salvare il bene, è altrettanto falsa e contraddittoria di quella che, per proteggere la libertà, impone di rinunciare alla libertà.»

Giorgio Agamben

 

Noi antropologi definiamo con il termine “medicalizzazione” uno sconfinamento dell’ideologia medica in questioni di libertà personale o di controllo sociale. Il termine si può riferire anche alla tendenza sconsiderata a trattare ogni aspetto della vita umana in forma clinica, e dunque a ridurre ogni difformità all’idea di malattia. Possiamo intuire facilmente come questo processo sia comodamente utilizzabile da interessi politici che tenderanno ad imporre un’identificazione tra la malattia e il dissenso. La stessa idea di malattia è un fatto più storico-culturale che qualcosa di dato da sé.

Per quanto la tecnica medica possa sforzarsi di creare un ideale dogmatico e stabile del concetto di “malattia”, elencando tutto ciò che la definisce in termini tecnici (la sintomatologia), essa rimane comunque il frutto di un arbitrio culturale, variabile nel tempo e al differire dei sistemi che concepiscono questo semantema così fumoso, interdipendente dalla “salute”, che però è definibile in modo assoluto solo dalla soggettività del paziente, ben lontano da ciò che il riduzionismo tecno-medicalista concepisce come stato di salute (ossia semplicemente l’assenza della sintomatologia o delle altre condizioni che si sono arbitrariamente adottati per identificare lo stato di malattia).

Come al solito io non sono un medico, e dunque le mie riflessioni sono incentrate più sul pensiero medico, sul rapporto tra società e sanità, e su quali sono le conseguenze che certe misure, adottate dal potere politico che si serve del controllo clinico (vedi biopotere e biopolitica), hanno a livello sociale e culturale. Dunque è agli amici sociologi ed ai colleghi antropologi che sta il compito di rilevare la gravità di questa situazione ma, almeno per adesso, la sociologia della salute tace, e l’antropologia medica e l’etnopsichiatria sembrano estinte. Gli unici che parlano sono “gli esperti”, e ogni tanto qualche filosofo, che sembra avere il coraggio di dissentire dalla narrazione unica e che viene puntualmente brutalizzato dai giornalisti (vedi Agamben).

Certo, in una situazione di tal gravità, è evidente che non possiamo permetterci di far parlare chiunque, di dar voce ai “ciarlatani”, ma chi dà la patente di autorità?

Le mie domande vogliono essere al di là delle questioni tecniche di pertinenza medica. Analizziamo le cose da un punto di vista sociologico: a chi credere? In una società dove ti si dice che “il titolo” testimonia chi sei, ma al tempo stesso, se un premio Nobel come Luc Montagnier dissente da una narrazione ufficiale, improvvisamente i suoi titoli vengono annichiliti. Si dice “ma la comunità scientifica è tutta d’accordo”, mentre io vedo solo un pollaio strepitante che riesce a litigare per ogni cosa, il che tecnicamente è un bene: il dibattito dovrebbe essere sintomo di una società sana, dove le opinioni e la pluralità delle idee fluiscono liberamente, ma non è così che accade. In questo pollaio infatti, c’è un fattore tutt’altro che imparziale, che lascia entrare delle faine che selettivamente sterminano ogni genere di dissenso, così da dare una falsa idea di “verità ufficiale” opposta a pochi folli rivoltosi che, chissà per quale assurdo motivo, osano avanzare dei dubbi su alcune cose.

Ciò detto, non è nemmeno nel merito della terapia che voglio entrare, ma in questioni precipuamente socio-antropologiche. Esistono gli esperti, per carità, per quanto la libertà di parola sia inalienabile e ribadita anche dall’Articolo 21 della nostra costituzione, mi pare giusto anche che in situazioni in cui si richieda un parere più approfondito siano gli esperti ad essere convocati, e non il primo che passa. Io stesso mi arrabbierei a sentirmi dare lezioni in materia antropologica da chi non ha mai letto nemmeno una riga sul tema, mentre io mi sono impegnato anni in una formazione universitaria. Ma ancora una volta, bisognerebbe chiedersi in base a cosa questi esperti vengano scelti. Ed inoltre, ci terrei a ribadire che, esiste una materia in cui non si danno esperti: non esiste l’esperto in “libertà personale”. Per quanto dunque possano convocare medici, politologi e tecnici di ogni settore, nessuno potrà mai avere il diritto di dirmi che cosa sia giusto fare della mia personale libertà, la quale è inalienabile.

Perché tutto questo discorso?

Perché ci sono dei segnali strani in giro, e non serve essere esperti per riconoscerlo. Questa epidemia è diventata il fine che giustifica il peggiore dei mezzi e sta trascinando nel mutamento sociale meno auspicabile: quello di masse incretinite che accettano di buon grado la privazione di diritti personali in nome di una finta idea di sicurezza. Non sto dicendo di comportarci in modo sconsiderato, o di oltrepassare quel limite che dalla mia libertà personale sconfina in quella altrui: non sto dicendo, tanto per fare un esempio, di uscire di casa e tossire in faccia alla gente, ma dobbiamo anche renderci conto che certi comportamenti hanno già superato un limite, quello della decenza.

Non possiamo rintanarci nella paura e accettare che il potere statale ci trasformi in hikikomori solo in vista di una pandemia: il male è sempre stato là fuori, e adesso ci facciamo sorprendere da un virus che, per carità, è nuovo, imprevedibile, sconosciuto, ma non per questo giustifica certe dichiarazioni, misure e reazioni da parte del potere politico e delle forze dell’ordine. Voglio andare oltre il lockdown, non è quello che mi interessa, quanto piuttosto alcuni segnali preoccupanti che, nessuna pandemia, epidemia o isteria di massa potrebbero giustificare.

Mike Ryan, direttore esecutivo dell’Oms (non un fesso qualunque) che dichiara, l’8 Aprile, di imporre tamponi coatti alla gente ed eventualmente di sequestrare i familiari malati per “curarli” in modo isolato. Un trattamento disumano che è l’apoteosi di ciò che Magatti chiamerebbe tecno-nichilismo. Come ha scritto Agamben il 13 Aprile 2020 in “Una domanda”:

«le stesse autorità che hanno proclamato l’emergenza non cessano di ricordarci che quando l’emergenza sarà superata, si dovrà continuare a osservare le stesse direttive e che il “distanziamento sociale”, come lo si è chiamato con un significativo eufemismo, sarà il nuovo principio di organizzazione della società».

Si diceva, quando imponevano in Cina l’app di tracciamento obbligatorio, era un’altra realtà, “quella è una dittatura, qui nella democratica Europa sarebbe impensabile”, e adesso Zaia, il governatore del Veneto, invoca a gran voce l’imposizione di una restrizione identica (la notizia è del 20 Aprile). In tutto questo mi chiedo: ma sarò io l’unico matto che, guardandosi intorno e vedendo questo ammasso di squilibrati che accoglie con gioia l’idea di un tracciamento obbligatorio, pensa che mai e poi mai accetterà di delegare l’inalienabilità della propria libertà personale al controllo di chicchessia? Se così fosse vi pregherei di dirmelo, almeno accetterei di buon grado di essere deportato insieme ad altri matti come me, così da sentirmi meno solo.

Nel frattempo, le forze dell’ordine improvvisamente diventano forze del disordine.

A Torino ci sono già stati degli scontri con la polizia il 19 Aprile, e continuamente leggiamo notizie di multe e arresti completamente a caso ed ingiustificati. Lo squilibrio di potere è evidente, e adesso parlare di imporre un trattamento sanitario obbligatorio a tutti non è più utopia. Senonché, l’Articolo 32 della costituzione tutela (tutelerebbe) il diritto alla salute e la libertà dell’individuo come unico in grado di poter decidere se sottoporsi o meno ad un controllo o ad una terapia, ma come al solito ce ne fregheremo. Ce ne freghiamo a tal punto che vogliamo una legge che imponga a tutti una sorveglianza totale (non sia mai che un pericoloso “malato” giri a piede libero e metta in pericolo la mia “salute”) e quindi via di app “Immuni” ma anche, per i più restii allo smartphone, si parla di elaborare sistemi alternativi di tracciamento, o comunque prevedere delle limitazioni per coloro che si rifiuteranno di farsi tracciare con l’app o con altri sistemi.

Ed io non posso fare a meno di ricordarmi i moniti di Agamben, che nella sua opera Homo Sacer aveva già previsto come nella società moderna, l’essere umano avesse già perso i suoi diritti personali in favore della sua dipendenza dal sistema di biopotere che deve esercitare il controllo sulla “nuda vita” e può permettersi di sospendere o revocare diritti umani in funzione di un controllo politico. L’essere umano, che si vede sequestrati i caratteri che lo rendevano più che mera vita ma vivente sociale, dotato di una sua soggettività (bíos) può essere ridotto a semplice principio o essenza (zōḗ) che dunque non ha necessariamente diritti. L’essere umano che viene escluso dalla comunità e dal consesso sociale è appunto un Homo Sacer, un uomo “separato”, del quale non si riconosce nemmeno lo status di piena umanità. Se pensiamo di essere lontani da una situazione simile ci sbagliamo di grosso.

Mi si dirà che la gravità della situazione durante l’emergenza è tale che bisogna “accettare” di cedere alcuni dei propri diritti in cambio di maggiore sicurezza. Sai com’è, “la situazione lo richiede”, e quindi anche il senso critico dev’essere rimosso. La situazione è “grave”, c’è bisogno di “sicurezza”. Tutto questo non può fare a meno di richiamare alla mia memoria opere di Foucault come “Sorvegliare e Punire” ma anche “Il Potere psichiatrico”, perché oltre al controllo totale si dovrà anche elaborare un sistema di repressione totale, e quale servo migliore dell’intramontabile psichiatria per un lavoro tanto sporco. 

Per questo il silenzio dei miei colleghi mi fa tanto irritare: quare silete scientiae sociologicae in munere vestro? Anni a studiare il problema sociale della malattia, della creazione di un sistema di medicalizzazione, di soprusi dell’apparato psichiatrico, di mistificazioni del concetto di “malattia mentale”, tutto questo va in fumo perché, improvvisamente, si impone la necessità che tutti si conformino, altrimenti si è matti. Sono matti i civili che dissentono, ma sono matti anche gli scienziati che osano proporre vie alternative. 

C’è un medico ungherese tristemente noto per una storia analoga. Si chiamava Ignác Semmelweis, ed in un periodo in cui le febbri puerperali erano una causa di morte non indifferente, provò ad avanzare l’ipotesi, comprovata dalla sua esperienza, che queste potessero essere evitate semplicemente aumentando l’igiene delle mani di chi officiava il parto. Come risultato di queste sue “illazioni”, Semmelweis venne rinchiuso in un manicomio, dove finì i suoi giorni, mentre oggi esiste un’università in Ungheria che porta il suo nome in suo “onore”. Quanta ipocrisia dall’arrogante mondo scientifico che non ha mai cambiato atteggiamento.

Oggi come allora la politica, serva della tecnica, vede come unica soluzione al dissenso di chi, stranamente, si rifiuta di accettare con acritica gioia ogni sopruso e privazione di libertà, quella di imporre in modo coatto delle repressioni violente (tanto i “matti” chi vuoi che li ascolti). Parole attribuite a Benjamin Franklin (che siano state veramente dette da lui o meno poco importa ai fini del messaggio che vogliamo trasmettere) recitano: «chi baratta la libertà per un po’ di sicurezza, non merita né l’una né l’altra».

 

 

Federico Divino
Antropologo della salute mentale e saggista. Ho conseguito la magistrale magna cum laude in “Antropologia Culturale, Etnologia, Etnolinguistica” con una tesi in Etnopsichiatria.

 

Letture consigliate durante la pandemia (ma anche dopo)

Agamben, Giorgio : Homo Sacer – Edizione integrale, Quodlibet, 2018

Benasayag, Miguel : La salute ad ogni costo. Medicina e biopotere, Vita e Pensiero, 2009

Beneduce, Roberto : Etnopsichiatria. Sofferenza mentale e alterità fra storia, dominio e cultura, Carocci, 2019

Beneduce, Roberto : Etnopsichiatria. Sofferenza mentale e alterità fra storia, dominio e cultura, Carocci, 2019

Foucault, Michel : Il potere psichiatrico, 2015

Foucault, Michel : Nascita della biopolitica, Feltrinelli, 2015

Foucault, Michel : Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Einaudi, 2014

Illich, Ivan : Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Red edizioni, 2013

Magatti, Mauro : Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista, Feltrinelli, 2009

Severino, Emanuele : Essenza del Nichilismo, Adelphi, 2019

Vicarelli, Giovanna (a cura di) : Cura e salute. Prospettive sociologiche, Carocci, 2013

 

 

 

 

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Autore dell'articolo: GG

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