La salute è un diritto o un dovere?

A differenza dell’ Ordine di Treviso, a Milano hanno scelto diversamente. Dario Miedico non è stato radiato. Era molto soddisfatto ,lo hanno ascoltato per lungo tempo, c’erano 23 medici che facevano domande intelligenti.
Fra 2/3 giorni arriverà la comunicazione ufficiale, al momento restiamo in attesa, questa è solo una sensazione! Sarà per la sua età, sarà per la precisione che lo ha sempre contraddistinto.. è andata così. Ed ora? La battaglia finisce qui?
Il fatto che forse non sia stato radiato, che non ci faccia abbassare la guardia. Ma un sorriso facciamolo 🙂

LA SALUTE è UN DIRITTO o un DOVERE?
estratto da un scritto di Conchita Nicolao

A seconda dell’interesse del titolare a goderne, ciascun diritto può essere esercitato o meno.
Ne deriva che, se è sancito costituzionalmente il diritto primario ed assoluto alla salute, è sancito anche il corrispettivo diritto alla non salute. Gli articoli 2 e 13 della Costituzione, riconoscendo e garantendo i diritti inviolabili dell’uomo, ribadiscono l’inviolabilità della libertà personale. La scelta libera, ragionata e consapevole di non godere del bene-salute, è espressione dei diritti di libertà e rispetto della dignità umana (Corte Costituzionale, Sentenza n°438/2008), per cui va rispettata anche se determina pericolo di vita o danno per la salute.
Questo comporta il diritto di accettare, rifiutare, interrompere atti od interventi a salvaguardia del proprio stato di salute, compiuti da terzi ma contro il proprio volere (c.d. diritto all’autodeterminazione terapeutica).
Il concetto di salute non è assoluto e definito. Proprio in quanto onnicomprensivo, è fortemente dipendente dagli elementi multifattoriali che lo caratterizzano: capacità del soggetto di perseguirla, progettualità nelle scelte di vita, capacità/possibilità di fruizione dei beni sanitari, risorse ed esperienze personali.
In una visione globale e dinamica, il soggetto attribuisce alla vita un valore contestualizzato alla percezione di sé, alle proprie aspettative e desideri, al proprio stile di vita, ai propri convincimenti, alle relazioni affettive poste in essere (o in divenire), al contesto ambientale in cui vive, alle proprie condizioni socio-economiche: è sulla base di questi elementi che decide se e in che misura vada difesa la vita.
Il bene giuridico salute non è più un valore in sé, una condizione statica, di facile “misurazione”, ma rappresenta lo strumento per la piena realizzazione di una vita percepita come qualitativamente migliore.
Il soggetto esprime una preferenza attraverso l’autodeterminazione: opta per una vita percepita come qualitativamente migliore e per questo percepita come degna di essere vissuta.
Va da sé che, se non attribuendo un valore oggettivo ma soggettivo, il bene-salute sarà più o meno desiderabile a seconda del ben-essere in grado di creare all’individuo.

Posto fine al rapporto paternalistico medico-paziente del passato, attualmente il vero protagonista dello stato di ben-essere è il paziente stesso. L’aderenza terapeutica ad un progetto condiviso col medico concretizza l’empowerment del paziente. Ad esclusione di quelli obbligatori, tutti gli interventi sanitari realizzati necessitano di una scelta libera e consapevole: il CONSENSO.
E’ attraverso il consenso/dissenso al trattamento medico che si esercita il diritto all’autodeterminazione.
Il consenso deve essere:
personale (espresso esclusivamente dal soggetto titolare capace di intendere e di volere o da chi esercita la potestà tutoria);
– libero;
– spontaneo;
– consapevole;
– manifesto (espresso ed accertato);
– recettizio (ex art. 1334 c.c.);
– SEMPRE revocabile;
– specifico ed inequivoco;
– attuale;
– INFORMATO

L’informazione medico-terapeutica deve precedere il consenso.
E’ dovere etico, giuridico e professionale del medico far sì che l’acquisizione del consenso non si riduca a mero adempimento burocratico, ma sia il risultato della ricezione ed elaborazione critica di informazioni veritiere, complete, proporzionali alla capacità di comprensione del paziente.
Il consenso è quindi essenziale per effettuare qualsiasi trattamento medico (Legge 145/01). Lo stesso Codice Deontologico Medico (art. 35) VIETA qualsiasi attività diagnostica e terapeutica senza preventivo consenso informato del paziente.

Il soggetto informato deve essere consapevole della sua malattia, della prognosi, della natura della trattamento sanitario proposto, dei rischi, dei costi, delle possibili alternative diagnostico-terapeutiche, dei rischi connessi all’omissione dello stesso.

Dinanzi al DINIEGO al trattamento, il medico non può coattivamente eseguirlo anche se necessario alla stessa sopravvivenza (Corte di Cassazione, Sentenza n°23676/2008).
Il principio di beneficialità consente al medico di intervenire con atti diagnostici e/o curativi, quando non sia stato espresso un consenso (es: lo stato di necessità).
L’intervento effettuato a carattere d’urgenza e privo di consenso, rappresenta un caso di non punibilità per il medico (art. 54 c.p.), negli altri casi v’è responsabilità giuridica penale/civile del medico e OBBLIGO RISARCITORIO.

L’ amministratore di sostegno (o il tutore) di un incapace, di un inabile, di un MINORE ha il potere-dovere di esprimere un consenso/dissenso al trattamento sanitario, anche se questo dovesse avere come conseguenza ultima l’anticipo del fine vita: spetta solo a questi (e non al personale sanitario) il peso di far rispettare la scelta morale da compiersi. Il potere-dovere del sanitario interviene solo in assenza di nomina e quando il rifiuto al trattamento.

Così come opportunamente suggerito a livello internazionale dalla CEDU nel 2000, occorre che siano individuati a livello nazionale strumenti adeguati per garantire a tutti il diritto all’autodeterminazione, a prescindere dallo stato di incapacità.

“.. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana.” ( Costituzione, art.32).

Tale concetto è ribadito dal Codice Deontologico Medico (art. 16):

“Il medico deve astenersi dall’ostinazione in qualsiasi trattamento da cui non si possa attendere un beneficio per la salute del paziente e/o un miglioramento della qualità della vita”.

Di fatto non sempre è così.
La tutela della salute, nella moderna medicina, da precetto etico assume sempre più valenza sociale e giuridica.
Dalla possibilità di curare, al POTERE di curare..

Le società occidentali sono caratterizzate dalla medicalizzazione ed ospedalizzazione di molti passaggi naturali della vita (dalla nascita al decesso). L’investitura del medico a garante della salute, le scoperte scientifiche, i progressi farmacologici, le innovazioni biotecnologiche, fanno sì che si rompa l’equilibrio tra esigenze a tutela del paziente ed esercizio della scienza medica.

Il “best interest” sfugge per cui, il trattamento posto in essere, anche se correlato al bisogno del paziente, fornito sulla base di standard scientifici riconosciuti, nei modi e nei tempi adeguati, si chiude con un bilancio negativo tra benefici, rischi e costi. Spesso il trattamento sanitario è forzoso, sproporzionato rispetto alle aspettative di miglioramento, continuato ad oltranza, anche per il crescente contenzioso ed azioni giudiziali nei confronti di medici e strutture sanitarie. Risultato è una medicina difensiva.
Non tutte le malattie conoscono terapie efficaci, ma tutti i malati possono essere curati, dove la cura è intesa come assistenza. Non è l’auspicio a un DNR (do not resuscitate order) ma la speranza per un AND (allow natural death). L’adeguatezza delle cure va rapportata alla spettanza di guarigione, ma soprattutto alla qualità della vita offerta. La desistenza terapeutica, associata all’accompagnamento caritatevole all’exsitus, fa sì che il paziente si riappropri della morte e del morire (come da parere del C.N.B. del 2008).

Sarebbe bello pensare che la ricerca, il rispetto, la difesa della dignità umana siano patrimonio comune, che trascende impostazioni culturali e religiose…
Primo Levi in “Se questo è un uomo”, scrive:

“..Negare la dignità, significa trasformare la persona in mero organismo biologicamente vivente, privo di rispetto e considerazione..”.

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Autore dell'articolo: GG

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