Lo Stato mi vuole bene? Una riflessione di Arianna Porcelli Safonov

Lo Stato mi vuole bene?

A volte basta una semplice domanda

Per comprendere qualsiasi fatto storico ed individuare quale sia la scelta migliore da fare bisogna porsi solo una semplice domanda e rispondersi più rapidamente possibile per evitare dubbi: lo Stato mi vuole bene?
Qualsiasi cittadino di qualsiasi paese può farsela.
Il momento giusto per farsela è sempre ed il posto giusto per farsela è ovunque: a casa in pantofole leggendo il quotidiano che ci piaceva un sacco e continua a deluderci più del partner, mentre si cerca parcheggio, a tavola per estraniarsi dagli amici che parlano di calcio oppure mentre fa jogging e suda la cheese-cake del giorno prima.
Bello farsela anche in cabina elettorale perché assume un pathos tutto speciale.
Lo Stato mi vuole bene?
Gli piace prendersi cura di me come dovrebbe aver imparato a fare negli anni, dalla storia o da altri esempi virtuosi o schifosi, visto che la maggior parte di noi impara anche per differenza?
Gli interesso allo Stato o come può mi schiaffeggia coi guanti di gomma sporchi di water?
C’è mica una vocina dentro al mio cuore che mi sta sussurrando che lo Stato non mi vuol bene per un cazzo, mi prende per il sedere, mi borseggia dei miei risparmi, mi propone in tv contenuti e persone che mi dequalificano? Beh, la vocina andrà ascoltata.
C’è una vocina dentro al mio cuore che mi sussurra che sto antipatico allo Stato ma che comunque qui si mangia bene e ci si veste griffati e tanto vale continuare il rapporto con lo Stato perché il divorzio costa ancora troppi soldi e troppa burocrazia?
Beh, la vocina ci rappresenta.
Quando capiterà di parlare con qualche connazionale che vive in un paese estero, bisognerà commisurare la vocina ed accorgersi se il paragone con quel paese lì, in termini di servizi ed amorosi sensi da parte dello Stato sia un paragone umiliante per noi che viviamo in questo, a meno che, certo non si parli di pizza e di Ferragamo.
Lo Stato mi vuole bene o mi aspetta dietro l’angolo co la tagliola e la raccomandata?
Lo Stato mi rispetta o spezzetta i miei nervi ed ogni microscopica possibilità di elevarmi intellettualmente? E se si, cosa fare?
Io sono solo uno/a**, povero/a** disgraziato/a**, una giovane mamma/o**, una maestra/o**, un ricercatore/a**, cameriere/a**, un ricercatore/a** che fa il cameriere/a**: cosa posso fare?
C’è un antidoto.
Ed è amare il proprio Stato.
Lo si amerà come si amavano i figli adolescenti negli anni sessanta, quando si insegnavano loro diritti e doveri fondamentali per vivere in società.
Si comprenderà che quel figlio potrà sbagliare, che potrà frequentare la gente sbagliata ma che resta qualcosa da preservare perché è cosa preziosa e degna di cura ed è per questo che talvolta si deciderà di percuoterlo per purificarlo, lo si correggerà con la cintura del Charro, con la ciabatta Champ o con le odiose Birkenstock che oramai assediano la terra.
Lo si punirà con le armi buone che si hanno a disposizione perché per ogni cosa c’è un’arma buona.
Magari non ce ne sarà nemmeno bisogno perché può esser pure che alla domanda si risponda, “Si, lo Stato mi ama e si prende cura di me”.
Pare che i danesi rispondano così.
Insomma, domattina, dopo la prima pipì del mattino, al mio tre: “Lo Stato mi vuole bene?” e si tenga vicina la Birkenstock.
Arianna Porcelli Safonov

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Autore dell'articolo: GG

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