Burioni, vaccini e somari: se la scienza è arrogante, danneggia se stessa

Nel dibattito pubblico, inasprito dai toni della campagna elettorale, dividere il campo tra esperti e insipienti, come fa il noto immunologo parlando di vaccinazioni, rischia di esacerbare i contrasti. Il commento di un filosofo che si è interrogato sull’ignoranza ai tempi dei social media – dal numero 155 di AboutPharma

Nella quarta di copertina del suo ultimo libro (La congiura dei somari – Perché la scienza non può essere democratica, Rizzoli), l’immunologo Roberto Burioni fa un’affermazione impegnativa. “Per bloccare i Somari – dice – e per convertirli alla ragione abbiamo qualcosa che è più efficace degli antibiotici, più sicuro dei vaccini, un rimedio antico ed economico. I Somari si curano con i libri”. Secondo Burioni, quindi, i “Somari” sono diversi da noi, noi che leggiamo i libri, e vanno bloccati, combattuti. I Somari vanno “convertiti” alla ragione. Una singolare idea di ragione: di solito ci si converte a una fede. Ma leggendo le parole di Roberto Burioni, la ragione viene trattata proprio come una fede, con annessi sacerdoti. Ragione e Scienza appaiono indiscutibili: “la scienza non è democratica”, ci viene ripetuto.

L’ignoranza non è patologica: è la condizione “normale” degli esseri umani

Queste posizioni si muovono all’interno di un dibattito pubblico e perfino di una campagna elettorale in cui il contesto sembra diviso tra Buoni e Cattivi (ciascuno crede che l’altro lo sia), Esperti contro Somari, Sapienti e Ignoranti. Molte maiuscole, poche sfumature. I Somari vanno “guariti”. Già, perché sono malati. La loro malattia è l’ignoranza. Si trascura un dettaglio: siamo tutti ignoranti. Non delle stesse cose, non allo stesso modo. Ma in ogni caso le nostre conoscenze, per quanto estese, sono sempre limitate. Mentre l’ignoranza è infinita. È la nostra condizione “normale”, di esseri umani, non patologica.

Ci si richiama al metodo scientifico, ma non c’è molto di galileiano in questo stile. Galileo scrisse il “Saggiatore” in italiano, perché fosse leggibile a un pubblico più ampio di quello degli specialisti (e perché credeva che lo stesso libro della natura fosse leggibile per tutti, con gli strumenti adeguati) e nella sua opera la verità non è un possesso stabile basato sul principio di autorità, ma una conquista sempre rimessa in discussione. Più che il metodo scientifico quello dei sedicenti difensori della Scienza sembra invece il metodo del Marchese del Grillo: “Io so’ io e voi nun siete un …”.

Neanche l’Illuminismo “blastava” gli ignoranti

Antonio Sgobba - ? Il paradosso dell'ignoranza da Socrate a Google (Il Saggiatore, 2017)

Se poi abbiamo a cuore la qualità del dibattito pubblico, dovremmo tenere presente un altro principio: la gente non si “blasta” (brutto calco dell’inglese “blast”, usato in italiano ormai da una decina d’anni per “prendere in giro, deridere, umiliare senza pietà”). Neanche quando sembra “laggente”, la caricatura di se stessa, e propone argomenti inaccettabili alle nostre orecchie colte e istruite. Con la gente si parla, si discute, ci si confronta. Si può essere in disaccordo, ma non si può trattare mai l’interlocutore come un subumano (come si fa per esempio quando gli si affibbiano attributi animali come l’asinità).

Ci si richiama spesso all’Illuminismo, riducendolo a uno stereotipo da esaltati, ma sarebbe il caso di tornare ai fondamentali. Nella “Encyclopédie” di Diderot e d’Alembert troviamo una definizione di ignoranza priva del disprezzo che spesso si riserva ai cosiddetti ignoranti: “L’ignoranza è una via di mezzo tra la verità e l’errore”, si legge. Noi discutiamo soprattutto dell’ignoranza che conduce all’errore. Ma non è detto che le cose debbano sempre andare male. Dall’ignoranza si può arrivare anche alla verità. È un punto di partenza. Ciò che conta è l’atteggiamento che abbiamo nei confronti di ciò che non sappiamo: possiamo essere arroganti o umili. Possiamo rivendicarla e farne arma politica, oppure riconoscerla e sfruttarla per scoprire i nostri limiti o le nostre possibilità. Arroganza o umiltà. È questo che fa la differenza. Anche per i cosiddetti sapienti.

Da Bourdieu a Burioni: il rischio del “razzismo dell’intelligenza”

Una democrazia ha bisogno di esperti che sappiano essere umili, che sappiano mettere le proprie competenze a disposizione dell’opinione pubblica, che sappiano confrontarsi con i cittadini. Senza trattarli dall’alto in basso. Altrimenti il rischio è di cadere in quello che il sociologo francese Pierre Bourdieu definiva “razzismo dell’intelligenza”, una forma di razzismo “caratteristica di una classe dominante il cui potere si fonda sul possesso di titoli”, come per esempio i titoli di studio, considerati come garanzie d’intelligenza e competenza, di fatto hanno preso il posto per l’accesso alle posizioni di potere di quelli che erano i titoli nobiliari. Perché studiare o non studiare, non è solo una questione di volontà, ma anche di possibilità economiche. E se ci si trova a vivere in un periodo di grandi diseguaglianze, non è una buona idea dividere il campo in modo così rozzo e manicheo. L’arroganza non fa altro che confermare ed esacerbare le divisioni. E se gli esperti si comportano da arroganti non fanno un buon servizio né alla scienza né alla democrazia.

Editoriale di Antonio Sgobba (foto) pubblicato sul numero 155 di AboutPharma and Medical Devices

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Autore dell'articolo: GG

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