“Non voglio fare la terza dose ma sono costretto” lo sfogo di Massimo, presidente unione ciechi di Treviso

Uno sfogo legittimo

Cosa sta succendendo in questo paese?

Le parole di Massimo, presidente unione ciechi di Treviso

Ogni giorno che passa sembra si scenda sempre più in basso.
Come se fosse un pozzo senza fondo, inesorabilmente.
Un treno in corsa che non può più fermarsi.

Una finta battaglia al virus- ho usato pure il gergo militare nella speranza capiscano– che sta letteralmente cambiando le fondamenta della società. Perché finta battaglia? Siamo al terzo anno, non sono state prese misure strutturali per migliorare la qualità del servizio ospedaliero o della medicina territoriale, non sono stati mandati a reti unificate messaggi di tranquillità e benessere, per potenziare quella che è la nostra prima linea di difesa, il sistema immunitario.
Nel marasma di decisioni, vengono colpiti tutti.
Tra questi, sicuramente è importante conoscere lo sfogo di Massimo Vettoretti, una persona ipovedente che, in quanto tale, non ha la patente. E voi potreste dire, e che problema c’è?
Sui mezzi, Massimo non potrà più salire. 
Una persona che sta molto male dopo la seconda dose, ha tutto il diritto di chiedere un piccolo stop. D’altronde, se ci rifacciamo a notizie e studi con i quali sono stati presentati, due dosi erano considerate ciclo completo, che azzera quasi del 100% il rischio di ricovero e di morte. Ovviamente sono bugie in pietra, ma così ce le hanno presentate ed è doveroso ricordarlo.
Siamo costretti a ricordare, siamo costretti a riflettere sulla natura di questo momento storico.

 

“Che scelta è quella dove da un lato ti inoculi e lavori, e dall’altra non ti inoculi e non lavori?”
“Non voglio farla, ma devo perché altrimenti non posso mangiare”
Vi lascio al suo sfogo.

 

No. Io la terza dose non voglio farla. E no, non perché io creda che ci controlleranno tutti con il 5G. E no, non perché creda che, estratto l’ago, cadrò morto. E no, non perché creda che cadrò morto fra 2, 3 o 4 anni.E nemmeno perché mi farà male il braccio per 5 giorni o perché mi si alzerà la febbre, anche se entrambe le cose sono accadute. Non voglio farla perché, dopo la seconda, mi sono ritrovato con la memoria di un pesce rosso per tre settimane e con l’agilità mentale di un bradipo, roba che un vecchio 486 che tenti d’eseguire Windows 11 sarebbe meno in difficoltà e perché non si sa se con la terza dose questi effetti collaterali saranno assenti, inferiori, uguali, peggiori o, Dio non voglia, irreversibili. Non voglio farla perché non sarà l’ultima: ce ne saranno probabilmente altre, anche se nessuno sa quante. Non la voglio fare. Ma la farò. E non perché altrimenti non potrò più andare a fare colazione al bar o cena al sushi All You Can Eat, ma perché altrimenti non sarò più in condizione di procurarmi le risorse per mangiare e pagare l’affitto. Io ho paura. E non è una paura irrazionale. È una paura basata su effetti precedenti già subiti e sul fatto che nessuno è stato in grado di offrirmi rassicurazioni, anche minime, o proporre strategie per minimizzare il rischio. Dicono che potrei scegliere. Ma che scelta è quella per cui, se non fai quel che ti viene… Proposto, ti ritrovi privato dei mezzi di sussistenza e costretto a rimanertene di fatto dentro casa, visto che, come disabile, non ho la patente?

 

Da che parte volete stare?
Forse non è ben chiaro, o forse semplicemente voglio ripeterlo una marea di volte: il problema qui è radicale, è il modello medico ad essere fallimentare. Non è un problema: inoculatevi quante volte pensate sia meglio per voi, ma è una scelta individuale che non deve e non può essere trasferita ad altre persone.
E ancora devo sentirmi dire che il governo fa il possibile per proteggerci? Come, abbassando il prezzo della FFP2? Siamo una manica di coraggiosi, e queste sono parole al vento.

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Autore dell'articolo: GG

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