“Ripensare la strategia vaccinale”: uno studio che può cambiare le cose?

Uno studio che può cambiare le cose

Analisi della campagna vaccinale in Israele

Anche un commento sulla “vaccinazione eterologa”

La decisione di utilizzare vaccini diversi per prima e seconda dose è legata a questioni logistiche-organizzative della campagna vaccinale. Qualsiasi discussione su eventuali fondamenti “scientifici” è risibile per vari motivi.
1. Qualcuno dice che l’efficacia di determinati mix vaccinali possa essere superiore, ma l’affermazione riguarda i livelli anticorpali, NON la protezione contro il covid e tanto meno contro il contagio. Nessuno studio del genere è in corso per i mix e nemmeno lo si sta progettando.
2. Per dimostrare un minimo di protezione contro il covid sintomatico da parte dei singoli vaccini sono stati necessari studi su decine di migliaia di persone, studi che peraltro (a) sono ancora in corso, (b) hanno fornito per il momento risultati parziali su un intervallo di tempo limitato a poche settimane, (c) si concluderanno solo tra oltre un anno e (d) comunque anche nel migliore dei casi ci diranno poco sulla sicurezza e nulla sull’efficacia nel prevenire il contagio.
3. D’altra parte, i livelli anticorpali dicono talmente poco sulla protezione contro il covid che le autorità sconsigliano di misurarli prima e tanto meno dopo il vaccino, dal momento che nessuno è in grado di interpretare il significato di qualsivoglia valore (compreso lo zero: la memoria immunologica è cellulare e non anticorpale).
4.  Da questo punto di vista, nemmeno è chiaro il motivo per cui certi vaccini sono proposti in due dosi. La prima dose già induce anticorpi, la seconda di regola ne induce di più ma appunto (a) non si sa se e quali siano i livelli protettivi, (b) c’è una crescente letteratura sulla protezione già dopo prima dose e (c) ad esempio il vaccino J&J è monodose malgrado utilizzi la medesima tecnologia di Astrazeneca (due dosi) e addirittura lo stesso vettore di Sputnik V (due dosi).
5.  Perchè J&J sia monodose e non lo possano essere anche gli altri non è chiaro, così come non è chiaro perchè, di fronte alla (asserita) minore efficacia di J&J non si sia pensato di utilizzare anche in questo caso la seconda dose. Ovvio che qualcuno ci ha pensato e sicuramente una decisione è stata presa sulla base di ragioni ben precise, anche se non è dato sapere quali siano.
6. Infine, qualcuno asserisce che il mix possa comportare qualche effetto avverso in più. Questo è plausibile per due ordini di motivi:
– sono diversi gli eccipienti, e dunque gli eventuali effetti avversi dovuti a questi si sommerebbero;
– sono diverse le tecnologie (anche tra Pfizer e Moderna, che usano entrambi RNA, così come tra AZ e J&J, che usano entrambi vettori virali), e dunque aver fatto la prima dose senza problemi non rassicurerebbe su eventuali problemi con una differente seconda dose.
7.Peraltro,ci dicevamo di recente che il meccanismo di tutti questi prodotti è il medesimo, così, l’uno o l’altro è addirittura probabile che davvero non faccia alcuna differenza

Alcuni dati dal mondo reale su rischi e benefici

Lo scorso gennaio sulla base dei primi dati disponibili su efficacia e effetti avversi dei vaccini ci si spingeva a stimare quante persone dovessero essere vaccinate (NNTV – number needed to vaccinate) per evitare almeno un caso di covid sintomatico, e si concludeva che rispetto ai dati dello studio Pfizer dovevano essere almeno 114 (che avrebbero potuto salire a oltre 9.000 se avessimo voluto prevenire un covid grave)
E poi si ragionava sui rischi, stimando i casi di paralisi del faciale in 1 su circa 4.000 vaccinati e i casi di morte connessa al vaccino in 1 su 1.500-3.200 quanto meno in quella casistica norvegese sulla base della quale la Norvegia (che ricordiamo ha sospeso Astrazeneca) successivamente decise di sconsigliare i vaccini negli anziani particolarmentr fragili.
Ad aprile poi si andò oltre, stimando quanti vaccinati sarebbero stati necessari per salvare una vita, e concludendo che il numero dipende dalla letalità del covid, quindi una vita salvata ogni (a seconda delle stime) 4.500-200.000 vaccinati.

Lo studio su Israele

“The Safety of COVID-19 Vaccinations—We Should Rethink the Policy”
Arriva ora uno studio  sui dati di Israele (paese che ricordiamo ha i tassi di vaccinazione più alti in assoluto nel mondo, tutti con il prodotto Pfizer) e che osserva come il NNTV per prevenire un caso di covid sia di 200-700, e per prevenire un decesso covid sia di 9.000-50.000, con una media intorno a 16.000.
D’altra parte, i dati israeliani pare indichino per per 100.000 vaccinazioni:
700 effetti avversi;
16 effetti avversi gravi;
4,11 effetti avversi fatali.
Concludono gli autori, con toni fondatamente allarmati, che pare sulla base di questi numeri di avere per ogni 100.000 vaccinazioni tre decessi in meno per covid e due in più per il vaccino, il che giustifica il titolo dello studio: “The Safety of COVID-19 Vaccinations—We Should Rethink the Policy”, che incita a rivedere le strategie attuali.
Si tratta ovviamente di un singolo studio, ma sono precisamente studi del genere di cui c’è bisogno per capire se la direzione in cui si sta andando sia quella giusta oppure no, e ce n’è bisogno urgentemente, così come c’è urgentemente bisogno di riconoscere ufficialmente quanto prima tutte quelle farmacoterapie utili a controllare nella maggior parte dei casi la malattia evitando aggravamenti. In uno scenario del genere, i vaccini e i prodotti assimilabili diventerebbero una ragionevole opzione per le situazioni di rischio personale elevato, privi tuttavia di quella carica di “drammatizzazione” a metà tra lo strumentale e il teatrale che ne fanno oggi purtroppo argomento conflittuale specie in quegli ambienti che più faticano a comprenderne le implicazioni. E sarebbe così possibile finalmente valutare con maggiore obiettività il loro rapporto rischi-benefici, sul quale l’esperienza che si accumula getta sempre più ombre che altro.
Marco Cosentino

 

 

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Autore dell'articolo: GG

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